Fra le tante targhe commemorative che infestano Padova ce n'è una molto controversa. Si tratta della targa posta su Palazzo Romanin Jacur in via San Francesco, di fronte alla tomba di Antenore, che testimonia la presenza di Dante in quella casa. Si tratta di uno dei tanti lavori dell'eloquente epigrafista Carlo Leoni, che con le sue targhe cercava di dimostrare agli occupatori austriaci la grande importanza storica di Padova, più con entusiasmo che con precisione storica. Molte delle sue targhe commemorative si sono dimostrate dei falsi storici molto fantasiosi, ma riguardo a questa targa forse il Leoni non si sbagliava. Il sommo poeta, esiliato da Firenze, si trovava a Bologna nel 1306, quando scoppiò anche in quella città la guerra fra guelfi e ghibellini. Così Dante, che apparteneva al partito sbagliato, dovette fuggire ancora e fu forse in quel periodo che approdò a Padova. Effettivamente, il Giudizio universale della Cappella degli Scrovegni ha un vago carattere dantesco, ma sarà vero che Dante raggiunse il suo compaesano Giotto qui a Padova? Molti storici sostengono che questa teoria non abbia alcun fondamento. Altri ritengono invece che sia possibile, eccome. D'altro canto è certo che nel suo trattato De vulgari eloquentia sono presenti alcune considerazioni sull'idioma patavino di quel tempo, e nella Divina Commedia si parla spesso di Padova e dei suoi abitanti: vengono infatti citati Reginaldo Scrovegni, Jacopo da Sant'Andrea, Obizzo d'Este, Ezzelino e Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino. Nel Purgatorio è riportata la leggenda di Antenore e nel canto xv dell'Inferno, Dante parla delle arginature dei fiumi fatte dai padovani, paragonandofe a quelle costruite in Fiandra contro il mare. Si dice inoltre che molti concetti espressi nel Giudizio universale siano stati suggeriti a Giotto proprio da Dante. Questa teoria sembra confermata dalla somiglianza fra le pene infernali dipinte dal pittore e quelle che Dante descrisse nella sua Divina Commedia. Il Selvatico, celebre scrittore d'arte padovana, nega questa teoria, sostenendo che, oltre ad alcune piccole somiglianze, ci siano anche grandi diversità tra le due opere. Sta di fatto che le date di permanenza dei due artisti in città coinciderebbero ed è noto anche come nel Medioevo ben pochi avessero conoscenze letterarie, tanto meno i pittori che cominciavano a imparare l'arte nella bottega di un altro pittore, quasi sempre analfabeta. Ma è ben possibile che non ci siano prove della permanenza di Dante in città? In realtà, qualcosa ci sarebbe. Su un antico e prezioso atto notarile in cartapecora datato 27 agosto 1306 della famiglia Papafava, si legge la firma del testimone Dantino di Allighieri "di Firenze abitante a Padova nella contrada di San Lorenzo", oggi San Francesco. Purtroppo però, a Verona sono saltate fuori altre pergamene in cui compare questo Dantinus anche dopo la morte del poeta, dimostrando che si trattava di un omonimo. Oppure di una morte inscenata, come si dice sia stata quella di alcune rockstar del calibro di limi Hendrix o Kurt Cobain, ma questa teoria ha ancor meno seguito. Ci sarebbe, inoltre, un ritratto di Dante presso l'oratorio di San Michele Arcangelo, vicino alla Specola, oggi unico resto di un'antica chiesa che esisteva già nel 970 e che i Carraresi nel 1300 fecero restaurare e dipingere. La chiesa venne poi demolita nel 1702, e solo la cappella si salvò. Fra i dipinti che la abbelliscono ce n'è uno che rappresenta la morte della Vergine e, tra i personaggi che assistono al fatto, vi sono Petrarca, Pietro d'Abano, Boccaccio e Dante, tutti morti in quello stesso secolo. Tanto per cambiare, quel bastian contrario di Pietro Selvatico nella sua Guida di Padova non è d'accordo con questa teoria, ma tant'è.
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tratto da "Misteri e storie insolite di Padova" -Newton Comption editori |